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"Contorte, piegate secondo angoli inusuali, inarcate e tese al limite della indicibilità le parole dell'ultima raccolta poetica di Luciano Fusi, 'La stanza di Haar'". Credo che questo giudizio di Luciano Luciani possa essere assunto come punto di partenza per interpretare l'intera opera di Luciano Fusi, che vive la sua poesia come un evento ed un avvento umano e meta culturale insieme. Infatti, per la sua naturale inquietudine, dialoga con i grandi Dino Campana, Caravaggio, Vincent Van Gogh, Arthur Rimbaud, Carmelo Bene che ci hanno consegnato una visione ultima ed estrema del mondo possibile usando, per questo, elaborazioni linguistiche che vengono dal profondo. Dialogare con i grandi e, comunque, con i visionari. Questa volta l'autore, uomo di teatro, dedica ad uno dei suoi "miti", Carmelo Bene, un poemetto per il teatro in cui voce e scrittura nascono insieme, in una sorta di intuizione che vibra lungo le corde di un "amore totale", auditivo, volto a fare emergere, nello scrivere e nel dire, la figura stessa di Carmelo Bene. E in questa evocazione la poesia di Fusi non si fa didascalica, ma si potenzia nella plasticità della parola ancora non fermata nella pagina.